Che la psicologia prenda una posizione contro l’odio!

È quando pensiamo di essere migliori degli altri che iniziano i problemi, ed è quando non si affrontano con decisione che continuano a svilupparsi.

È proprio arrivato il tempo che la psicologia prenda una posizione seria e autorevole verso questa situazione surreale, dove le scelte personali sono diventate scelte di bandiera, dove stiamo tollerando che media e persone autorevoli – che dovrebbero rappresentare un esempio per la popolazione – disseminino zizzania e parole di incitamento all’odio, e dove si ha paura persino di respirare, di manifestare dubbi o di far domande, tanto siamo pervasi dall’ingenua convinzione che la scienza non ammetta repliche e dalla folle idea che “se lo dicono in TV deve essere vero e giusto”.

Che si torni a ragionare, e che la psicologia aiuti a farlo in modo concreto, forte della sua storia e delle sue conoscenze sull’odio individuale e sociale. È questo il suo compito, non l’adozione di un nauseante atteggiamento politically correct a tutti i costi; è adesso che le persone hanno bisogno dell’aiuto di chi ogni giorno lavora proprio con la sofferenza che in molti stanno subendo o facendo subire. O entrambe le cose.

L’odio viene instillato giorno dopo giorno attraverso la polarizzazione, ed il movente sono le scelte e le posizioni personali riguardo alla gestione emergenziale. Un altro aspetto criticabile da oltre un anno. Il fatto è che quando viene instillato l’odio verso chi si ritiene essere la causa dei mali del mondo, noi esseri umani non riusciamo a rimanere lucidi, se non a fronte di uno sforzo che oggi siamo tenuti a fare. Quanto meno siamo consapevoli che il contesto ha la potenziale capacità di “contagiarci” come ha già contagiato altri in casi analoghi, più diventiamo causa di pericolose polarizzazioni e perdiamo di vista ciò che conta davvero. La storia è ricca di esempi, e questo sta già avvenendo.

Ecco allora che assistiamo a dei fenomeni di odio quotidiano che meritano tutta la nostra attenzione:

  • sui social network, quando si diventa leoni da tastiera, forti della distanza che ci separa dai nostri interlocutori e della comunicazione disumana che viene rinforzata da altrettanti influencer odiatori nel mondo virtuale;
  • per strada, verso le persone che diventano “pazzi”, quelli che “non hanno capito niente”, solo perché hanno o non hanno la mascherina, perché sfilano o non sfilano nei cortei, perché mantengono o non mantengono le distanze, perché hanno o non hanno il cerotto sul braccio;
  • nei commenti sprezzanti e arroganti, privati, che si fanno sugli altri, a loro insaputa, dove diventa facile decretare che chi non la pensa come noi è brutale, ignorante, assassino, “sorcio”;
  • sul lavoro, dove ancora pare che non tutti abbiano capito che il lavoro è un diritto inviolabile, e che la gente lavora per vivere e per realizzare i suoi obiettivi di vita intimi e privati. Ci si erge a sceriffi e a giudici senza aver compreso né l’utilità nel farlo, né le evidenti contraddizioni che vi sono connesse.

Ecco che allora la psicologia è chiamata in causa per ricordare come opporsi all’influenza sociale indesiderata e come resistere alle seducenti lusinghe delle influenze esterne negative. È un auto-richiamo, perché i nostri ordini professionali non ce lo hanno chiesto. Sembra piuttosto che tali lusinghe pervadano anche il nostro mestiere, facendoci perdere la bussola della nostra identità professionale e costringendoci ad un’impotenza generatrice di incoerenza e dissonanza, se non di attuazione svilente di direttive più politiche che scientifiche.

Dobbiamo invece opporci a gran voce all’odio e prendere una posizione forte in merito, in modo ancora più netto rispetto a come abbiamo fatto già alcuni mesi fa, ad esempio, con il Comunicato di allarme di psicologi e psichiatri. Toglierci dalla faccia la nostra placida espressione da “va tutto bene” perché no, non va tutto bene per niente. E possiamo spiegare perché.

La psicologia può e deve servirci a fare delle previsioni, e a correre ai ripari. Sappiamo tutti benissimo a cosa conduce l’odio verso il prossimo e verso se stessi, e questo è il motivo per cui l’odio è da contrastare, innanzitutto evidenziandolo per bene. Per farlo occorre conoscerlo e riconoscerlo nelle piccole cose, e aiutare la gente a comprenderlo fuori da sé ma anche, e soprattutto, dentro di sé.

L’odio genera odio, la violenza genera violenza e distrazione verso le cose che davvero sono importanti. Il sistema sembra condurci oggi all’ostilità e all’arroganza; a schierarci gli uni contro gli altri, a fomentare ingiustizie e diseguaglianze. Il prossimo passo sarà la violenza fisica, auto-inflitta – come l’auto-lesionismo e il suicidio, fenomeni già in drammatica crescita – e quella riversata sugli altri.

La psicologia non può fare finta di niente e aspettare inerte che il peggio si amplifichi e sia troppo tardi. Almeno faccia la sua parte dove può: nella clinica, nella consulenza, nella formazione e nella comunicazione sui social network. Lo faccia nella vita privata soprattutto e davanti ai giovani, che necessitano di esempi meno pericolosi dei fomentatori di odio che ritrovano ovunque, dalle televisioni ai social network, anche tra le autorità. Lo faccia comprendere agli ordini professionali, spesso nascosti dietro ad un silenzio imbarazzante o lanciati su proclami che generano vergogna.

Philip Zimbardo

Come possiamo fare? Che ognuno lo faccia nel suo stile e nel suo modo, ma i punti per opporsi agli effetti devastanti dell’odio sono pochissimi e sono semplici. Sono quelli stilati da Philip Zimbardo nel suo celeberrimo libro “L’effetto Lucifero – Cattivi si diventa?”. Zimbardo ha chiamato in questo modo il processo che spiega come l’aggressività sia fortemente influenzata dal contesto in cui l’individuo si trova. Prima di Zimbardo l’aggressività veniva attribuita quasi esclusivamente a fattori interni all’individuo, ma proprio grazie al suo esperimento – convalidato da migliaia di altri studi – conosciamo oggi l’importanza dell’ambiente nel determinare le condotte individuali.

I punti che emergono dal lavoro di Zimbardo, qui adattati al nostro tempo ma identici nell’essenza, sono solo dieci, ma potrebbero cambiare tutto e molto in fretta se solo li adottassimo noi per primi e li trasmettessimo in ogni modo e con ogni mezzo agli altri, a prescindere dalle idee e dalle opinioni.

Diffondiamoli con ogni mezzo e in ogni occasione. Diffondiamo conoscenza, non arroganza.

1) Ammettiamo le nostre lacune, sbagli e debolezze

Non siamo perfetti né onniscienti. Che si stia con i Guelfi o con i Ghibellini, ci manca di certo la visione completa delle cose. La scienza è dibattito, dubbio e ricerca costante, non si arrocca su certezze per natura. Insegniamo ad avere un approccio scientifico in primis su noi stessi.

Scusarsi apertamente riduce la necessità di giustificare o razionalizzare i nostri errori e quindi di continuare a dare supporto a cattive azioni o azioni riprovevoli. Confessare gli errori distrugge la motivazione a ridurre la dissonanza cognitiva, e compensare ai danni inflitti a lungo termine è sempre un vantaggio. Abbiamo offeso qualcuno? Ammettiamolo. Abbiamo danneggiato qualcuno? Facciamo ammenda, fino a quando la parte danneggiata non si sarà dichiarata soddisfatta.

Le ferite non si ricuciono con fili invisibili e parole al vento, ricordiamolo.

2) Facciamo molta attenzione

In molti contesti, persone sveglie fanno cose stupide perché non prestano attenzione a caratteristiche cruciali delle parole o delle azioni di agenti influenzanti e non notano evidenti segnali situazionali. Dobbiamo ricordarci di non vivere la nostra vita con il pilota automatico, ma di concederci sempre un momento per riflettere sul significato della situazione attuale, per pensare prima di agire. Per ottenere i migliori risultati occorre aggiungere il pensiero critico, domandare prove che suffraghino le asserzioni, esigere che le ideologie siano abbastanza elaborate da permetterci di distinguere la retorica dalla sostanza, immaginare scenari finali delle conseguenze future di qualunque pratica attuale. Occorre rispettare le soluzioni semplici per risolvere rapidamente problemi personali o sociali complessi. Occorre incoraggiare il pensiero critico nei bambini fin dalla più tenera età, aiutarli a diventare persone più sagge, più diffidenti e più informate.

3) Impariamo ad essere responsabili

Lamentarsi acriticamente delle situazioni che si vivono significa di fatto negare di far parte del sistema in cui determinate dinamiche prendono vita. Assumersi invece la responsabilità della propria parte – attiva o passiva che sia – esattamente per ciò che si sta vivendo, ci mette al posto di guida. Se ci sediamo sul sedile posteriore senza un autista responsabile, sappiamo già che fine faremo. Si diventa più resistenti all’influenza sociale indesiderabile se si mantiene sempre un senso di responsabilità personale e se si è disposti a essere ritenuti responsabili delle nostre azioni. Se un personaggio presente in TV e per di più considerato autorevole fa delle dichiarazioni che inneggiano all’odio, ricordiamoci che siamo noi ad aver acceso l’interruttore. Come tale, possiamo spegnerlo e far ritornare tranquillamente la persona al suo anonimato. Che si riconquisti il nostro rispetto e il nostro appoggio.

4) Affermiamo la nostra identità

Non bisogna permettere agli altri di de-individuarci, di collocarci in una categoria, in uno scomparto, in una casella, di trasformarci in un oggetto. No-mask, no-vax, negazionisti, cospirazionisti, covidioti, assassini, terrapiattisti e chi più ne ha più ne metta. Non è giusto: affermiamo in ogni occasione la nostra individualità, decliniamo il nostro nome e le nostre credenziali, a voce alta e chiara e insistiamo affinché anche gli altri adottino lo stesso comportamento. Operiamo per cambiare qualunque condizione sociale che renda etichettabili le persone. Promuoviamo invece le pratiche che fanno sentire gli altri speciali, così che anche loro abbiano un senso di valore personale e di autostima. Non permettiamo nè pratichiamo stereotipie negative: parole, etichette e battute possono essere distruttive se sbeffeggiano altre persone. Il male si annida nella polvere.

5) Rispettiamo l’autorità giusta ma ribelliamoci contro l’autorità ingiusta

In ogni situazione, facciamo in modo di distinguere fra quelli che detengono l’autorità che, per la loro competenza, saggezza, anzianità o per il loro status speciale, meritano rispetto, e le figure di autorità ingiusta che esigono obbedienza pur essendo prive di sostanza. Molti che si ammantano dell’autorità sono pseudo-leader, falsi profeti, imbroglioni, promotori di se stessi che non dovrebbero essere rispettati ma disobbediti e apertamente additati alla critica.

6) Diamo valore alla nostra indipendenza

Il potere del desiderio di accettazione è tale che alcune persone sono disposte a fare quasi qualunque cosa per essere accettate e anche di più per evitare di essere respinte dal gruppo. Talvolta però il conformarsi a una norma del gruppo è controproducente per il bene sociale. È imperativo determinare quando seguire la norma e quando rifiutarla, ed essere disposti e pronti a dichiarare la nostra indipendenza al di là del rifiuto sociale che può provocare. Non è facile, specie per chi ha un’immagine di sé è isomorfa a quella del loro lavoro. In questi casi le pressioni per fare gioco di squadra sono quasi irresistibili. Dobbiamo allora fare un passo indietro, accogliere opinioni esterne e trovare un nuovo gruppo che sostenga la nostra indipendenza e promuova i nostri valori.

7) Facciamo più attenzione al framing

Il modo in cui le questioni sono presentate ha spesso più influenza degli argomenti persuasivi sviluppati entro i confini del discorso. Inoltre forme efficaci di framing, o di cornici di narrazione, possono non sembrare affatto tali, ma semplicemente spezzoni di frasi, immagini, slogan e loghi. Ci influenzano senza che ne siamo consapevoli e ci orientano verso idee e questioni che esse promuovono.

8) Equilibriamo la nostra prospettiva temporale

Quando ci facciamo intrappolare in un presente dilatato possiamo essere indotti a fare cose che non sono realmente quelle in cui crediamo. Il fatto di vivere una condizione che non ha una scadenza e che viene diluita passo dopo passo, aumenta la dilatazione. Possiamo resistere se abbiamo abbastanza consapevolezza di uno schema temporale passato che contiene i nostri valori personali e dove fatti e situazioni si sono già svolti e rappresentano esempi per apprendere. Sviluppando una prospettiva temporale equilibrata, in cui sia possibile attivare passato, presente e futuro a seconda della situazione e del compito attuale, potremo agire più responsabilmente e saggiamente. Sono accaduti fatti simili nella storia? Cosa è accaduto alla società quando ci si è coperti gli occhi davanti alle prime manifestazioni di odio e discriminazione tra i cittadini? Come ha fatto l’essere umano a contrastare l’ingiustizia e la disuguaglianza fino ad oggi?

9) Non sacrifichiamo le libertà personali o civili all’illusione della sicurezza

Il bisogno di sicurezza è un potente determinante del comportamento umano.  Nella maggior parte dei casi gli spacciatori di influenza acquisiscono potere su di noi offrendoci un patto faustiano: sarai al sicuro se cederai un po’ della tua libertà, personale o civile, a quella autorità. Occorre rifiutare il baratto, non sacrificare mai la libertà personale in cambio della promessa di sicurezza perché i sacrifici sono effettivi e immediati e la sicurezza è una remota illusione. Nel nostro caso, nemmeno convalidata dalla nuova religione comune: la scienza.

10) Contrastiamo i sistemi ingiusti

Le persone vacillano di fronte alla forza dei sistemi descritti, ma la resistenza individuale coniugata con quella di altri che condividono lo stesso atteggiamento e la stessa determinazione può fare la differenza. Resistere può significare allontanarsi fisicamente da una situazione influenzante e controllante, può significare sfidare il pensiero di gruppo ed essere in grado di documentare tutte le accuse di atti illeciti, oppure ottenere l’aiuto di altri. il sistema può ridefinire l’opposizione individuale come un’allucinazione, sostenere che due oppositori condividono una follia a due, ma con tre persone al nostro fianco sarà impossibile non tenere conto delle nostre idee.

Un’ultima raccomandazione: asteniamoci dai peccati veniali e piccole trasgressioni, come mentire, fare pettegolezzi, diffondere voci, ridere di battutine sprezzanti, fare dispetti o prepotenze. Possono diventare il trampolino per peccati ben più gravi. Le grosse cattive azioni nascono sempre da piccoli episodi che sembrano banali, ma ricordiamo che il male è una china scivolosa. Una volta avviati su quel sentiero, è facile scendere sempre più in basso.

Fonte:

P. Zimbardo, L’effetto Lucifero – cattivi si diventa?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007. Trailer del film The Stanford Prison Experiment: https://www.youtube.com/watch?v=3XN2X72jrFk

Si veda anche:

S. Milgram, Obbedienza all’autorità. Uno sguardo sperimentale, Einaudi, Torino, 2003.

Pubblicato da Silvia Salese

Psicologa | Clinica, formazione e docenza - www.silviasalese.com

5 pensieri riguardo “Che la psicologia prenda una posizione contro l’odio!

  1. Quanta verità è contenuta nella riflessione espressa in questo articolo! La diffidenza, nei confronti di chi ritiene di fare scelte diverse, sta diventando disprezzo, persino odio. So cosa significhi questo processo cerebrale, che ci pone ai limiti del contesto sociale, in cui viviamo, perchè ritenuti colpevoli di non adeguarsi ai comportamenti degli altri. Sentirsi accusati di essere degli irresponsabili, dei pessimi cittadini, degli untori ! Atteggiamenti che feriscono sempre e che, purtroppo, fanno ancora più male, quando provengono da amici o familiari. E’ in atto una pericolosa manovra che mira alla divisione, anche generazionale. E mi chiedo con quale finalità ? Lo strumento utilizzato è quello della paura, un metodo antico, ma pur sempre efficace. Il virus, la mascherina, ora i vaccini, le restrizioni delle libertà personali, e dopo cosa accadrà ? Mi sovviene una frase di G.G. Marquez ” Il sonno della ragione, genera mostri”. E purtroppo è quanto sta avvenendo ed il futuro non lascia presagire, nulla di buono. Ben venga dunque la volontà di tornare al dialogo, alla comprensione, alla tolleranza.

    Loris Mauro

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