Chi è abituato ad osservarsi ed osservare intorno a sé con un pizzico di curiosità e spirito critico, non potrà non riconoscere in tutto il suo splendore (si fa per dire) la più sofisticata operazione di ingegneria sociale in atto in questo periodo. Certo, occorre mettersi prima in tasca qualche strumento di analisi.
Premetto subito queste tre avvertenze:
- questo articolo contiene spoiler;
- il lettore affetto da adrenalina etichettatrice – “complottista”, “negazionista”, e così via – riuscirà difficilmente a scavalcare i confini dogmatici entro i quali si è lasciato incatenare, per cui sconsiglierei vivamente di perdere tempo e proseguire oltre;
- idem come sopra per il lettore affetto da incontinenza da tifo calcistico, perché non troverà in questo articolo appigli per delineare un bianco e un nero, ma piuttosto qualche bella sfumatura di grigio.
Per gli spiriti intellettualmente liberi, o meglio, in cerca di una maggiore libertà, desiderosi di sbirciare oltre le quinte dei grandi teatri allestiti per le masse, sarà invece un piacere offrire questa modesta tavola imbandita di inconsueti punti di vista.

Non occorre essere in possesso di fantomatici titoli accademici per avvalersi del proprio sacrosanto diritto alla libertà di pensiero e di espressione, ma ancor prima di analisi e riflessione. Non sono infatti i titoli a forgiare l’animo umano e men che meno l’onestà intellettuale di cui esso (pare) sia potenzialmente dotato.
A questo punto probabilmente già il 75% dei lettori di questo articolo saranno passati ad altro. Agli eroi che stanno invece ancora leggendo con tenacia inamovibile queste parole, invito ad avventurarsi nell’approfondimento disincantato sul film-documentario in questione.
Finalmente qualcuno prende in esame uno dei più delicati problemi del nostro tempo, ossia quanto i social stiano visibilmente invertendo la curva di evoluzione dell’essere umano, dato che ormai da tempo si è completamente scollegata da quella dell’evoluzione tecnologica. Dunque, scardiniamo una volta per tutte la mitologia culturale che le considera in viaggio e in crescita di pari passo.
Il sipario di The Social Dilemma si apre nel migliore stile hollywoodiano: i protagonisti sono ragazzi con la faccia pulita, cervelloni (più o meno noti) della Silicon Valley, e viene evidenziato in loro un leggero imbarazzo e agitazione all’inizio dell’intervista, emozioni che rinforzano nello spettatore l’idea di ascoltare “qualcosa di grosso e di scomodo”.

L’implicito richiamo a Edward Snowden è palese, anche se non viene mai citato. La stessa somiglianza fisica del principale attore del documentario – Tristan Harris – è casuale solo nel mondo delle fiabe. L’unica differenza (non trascurabile per un’accurata analisi) è che Snowden è tutt’ora in esilio in Russia e se gli americani dovessero un giorno acchiapparlo, non farebbe una bella fine…
Risulta quindi subito evidente che le verità in procinto di essere manifestate non saranno poi così scomode, e si accende la spia rossa del rischio della tecnica dell’ammissione parziale[1] in atto,
Partono una serie di presentazioni curriculari a raffica, ed echeggiano nomi importanti e colossali: Google, Instagram, Facebook, Youtube, Twitter, Pinterest, Snapchat, eccetera. Tutti i protagonisti esprimono il loro rimorso di coscienza, avendo sempre creduto negli strumenti dei social come “risorse al servizio del bene”, ma oggi si rivelano preoccupati e combattuti da dilemmi etici.
Vengono brevemente illustrati alcuni risvolti patologici per l’eccessiva dipendenza dai social, come ad esempio il nuovo trend della chirurgia estetica, conosciuto come dismorfia da snapchat, che individua la ricorsa sempre più ossessiva a richiedere interventi di chirurgia estetica pur di assomigliare all’immagine di se stessi modificata dai filtri colorati di app.
Vengono quindi toccati i temi e le problematiche che ci toccano da vicino, e nelle quali lo spettatore ritrova le sue stesse preoccupazioni (altrimenti non si sarebbe messo a guardare questo film): “quando ci si guarda intorno sembra che il mondo stia impazzendo”, “tutto questo è normale?”, “o siamo tutti sotto una specie di incantesimo?”
Ecco che gli intervistati desiderano rivelare al mondo come funzionano le tecnologie di persuasione e controllo celate dietro ai social, precisando che esiste una vera e propria ingegneria psicologica al riguardo, e che nulla è lasciato al caso.
Sarebbe stato bello estendere la medesima rivelazione anche a tutto quello che riguarda il mondo della comunicazione televisiva e delle principali testate giornalistiche. Anche qui, nulla è lasciato al caso: il mainstream si crea e si mantiene con l’applicazione metodica di precise regole.
La seconda rivelazione, data forse per scontata da tutti ma continuamente dimenticata:
“quando non paghi per un prodotto, il prodotto sei tu.”

Tutta la scienza applicata dietro ai social e ai motori di ricerca è tesa a trattenere l’attenzione il più possibile e nel modo più profondo possibile.
“La nostra attenzione è il prodotto. Perché è questo prodotto – cambiare le tue abitudini, i tuoi modi di pensare, le tue idee – che può generare il più grande profitto.”
I colossi del web vendono a cifre da capogiro la possibilità di far andare le persone nella direzione decisa; il tutto grazie al lavoro di sofisticatissimi algoritmi. Qualcuno paga perché la maggioranza degli italiani possano convincersi che gli asini volano o che un virus sia pericolosissimo e terribilmente letale (anche se i dati ufficiali parlano di numeri percentualmente irrisori)? Nessun problema, viene girata una “manovella” e via.
Insomma, stringi stringi, il fine che muove e sostiene tutto lo show è ovviamente sempre lo stesso: profitto e controllo, e tutto viene creato o cavalcato sempre con questo insidioso movente. Da questo punto di vista, difficile dire se nasce prima l’uovo o la gallina.
Tutti i protagonisti del video parlano chiaro:
“è chiamato il capitalismo della sorveglianza, che trae profitto dall’illimitato monitoraggio delle persone da parte delle grandi aziende tecnologiche, il cui modello imprenditoriale consiste nell’assicurare che gli inserzionisti (aziende di prodotti, servizi, enti politici e altro) abbiano più successo possibile.”
Questo mercato crea un giro di affari di triliardi di dollari, che ha reso le società di internet le società più ricche della storia dell’umanità.
Con i dati che processano nel monitorarci, vengono costruiti modelli virtuali in grado di prevedere le nostre azioni. Alla base di questo sistema tecnologico c’è dunque la manipolazione e quindi l’inganno.

Le illusioni indotte si basano sul fatto che qualcuno conosce una parte della nostra mente di cui noi non siamo a conoscenza. Anche le stesse figure professionali considerate per certi versi immuni dalla possibilità di essere ingannate per il consenso comune – come medici, avvocati, ingegneri – non sono coscienti di quanto sia vulnerabile la loro mente, per cui sono fragili esattamente come un bambino. Le loro conoscenze e abilità o la loro capacità di giudizio, per quanto elevate esse possano essere, non li mettono minimamente al riparo.
Ecco perché nelle più rinomate università americane, fucina dei cervelloni che tengono in piedi e che sviluppa le aziende della Silicon Valley, viene insegnata la Tecnologia Persuasiva, con il fine preciso di utilizzare le più avanzate conoscenze psicologiche per stimolare cambiamenti comportamentali.
Ad esempio, viene mostrato come il movimento del dito sugli smartphone per scorrere lo schermo o ricaricare la pagina, simula di fatto il movimento delle slot machine, e attiva in modo subliminale la continua e frenetica speranza di poter vincere qualcosa. Ecco perché ogni volta che posiamo gli occhi sul device, siamo attratti dall’emozione di “tirare la slot” per vedere se c’è qualcosa di nuovo.
Detto in altre parole ancora: le più grandi aziende e tecnologie oggi presenti al mondo, sono costantemente tese a
“scavare sempre più a fondo nel tronco cerebrale in modo da programmare nuove abitudini inconsce senza che il livello conscio possa accorgersene”.
L’innesco di cambiamenti o di particolari emozioni avviene negli utenti senza la loro consapevolezza, che ne rimane completamente all’oscuro, nella piena e totale convinzione di aver compiuto un’azione o di essere giunti ad una determinata convinzione in modo completamente autonomo. In cambio di questa manipolazione viene offerta all’utente un po’ di dopamina, sfruttando quindi la vulnerabilità psico-neurologica.
I protagonisti del film iniziano poi a parlare un po’ dei loro stessi, personali, problemi di dipendenza dagli smarphone. In questo modo, prima attraverso la messa sul piatto dei buoni propositi e dei valori etici, ed ora con l’empatia, la fiducia dello spettatore è completamente conquistata.
“I social media scavano sempre più in profondità nel tronco encefalico, fino a prendere il controllo sull’autostima e sul senso di identità dei bambini. Quindi stiamo degenerando verso la ricerca ossessiva e costante dell’approvazione sociale, ma attraverso canali tecnologici e quindi attraverso filtri irreali, con conseguenze disastrose che saranno ancora più visibili nelle generazioni future.”
“Costruiamo le nostre vite intorno a questa idea di perfezione percepita da altri utenti perché veniamo ricompensati (o puniti) tramite continui segnali a breve termine (cuori, like, pollici) e li confondiamo con il valore e la verità; in realtà si tratta di una popolarità finta, fragile e a breve termine, e che lascia un senso di vuoto ancora più grande che forza verso il circolo vizioso di cercare nuova approvazione, e ancora e ancora…”
Le statistiche alle quali si accenna sono inquietanti anche se ovvie: aumento di depressione e suicidi tra gli adolescenti; drastico calo del numero di appuntamenti o relazioni romantiche. Mettiamoci poi in mezzo la fobia del contagio da virus, e la torta è servita con la ciliegina.

Ma proprio quando la fiducia verso i protagonisti e il senso di alleanza con loro raggiunge il culmine, ecco che iniziano alcune sbrodolature politically correct, che stridono con lo stile precedente. Che sia il prezzo da pagare per la divulgazione di un film-documentario di questo genere? Molto probabile il solito zampino del U.S. Agency for Global Media[2], con la finalità di convogliare, direzionare e utilizzare a proprio vantaggio anche i modelli di ribellione.
Irrompe un primo esempio di come diverse persone, anche famose, siano state portate a credere alla teoria della terra piatta attraverso video consigliati su Youtube. Come non cedere al senso del ridicolo? Si susseguono poi altri esempi analoghi di cose assurde in cui hanno creduto le persone per colpa dei social.
Le difese emozionali dello spettatore sono completamente calate e la sua identificazione con gli intervistati è massima, per cui diventa molto difficile (ma non impossibile) riappropriarsi di un raziocinio distaccato e osservare alcune contraddizioni nel cambio di registro.

Dal momento che abbiamo inizialmente visto che ogni convinzione indotta ha un preciso fine di profitto a vantaggio di grandi aziende o enti politici – essendo “un modello imprenditoriale di disinformazione a scopo di lucro” – quale interesse economico potrebbe mai esserci nel convincere una manciata di persone a credere alla terra piatta? Qualcosa non torna.
Inoltre, ben sappiamo (con diverse riprove recenti ed eclatanti) che esistono precisi algoritmi che limitano e censurano determinati argomenti sui social. Stranamente, tali censure non vengono applicate alle teorie delle terre piatte (e chi se ne frega in effetti) né ad argomenti lesivi della salute pubblica (come l’incentivo al gioco d’azzardo o al cibo spazzatura) ma intervengono nell’ostacolare video o post dove si apre il dibattito scientifico su tematiche ancora poco note all’opinione pubblica (vedasi esempio vaccini).
Gli intervistatori evidenziano a tal proposito che il problema più grave è che il sistema tecnologico orienta le persone verso le notizie false, e che i dati statistici dimostrano che le notizie false si propagano sei volte più velocemente delle notizie vere. Interessantissimo, anche se non capisce qual è l’organo che decreta quale siano le notizie vere da quelle false.
Cavalcando infatti quest’ultima analisi, ci scontriamo in un quesito amletico: se la tecnologia oggi è pervasiva, se veicola notizie false sei volte più velocemente di quelle vere, allora è presumibile dedurre che tutte le narrazioni attuali e condivise sui principali eventi mondiali siano un grande inganno, inclusa la narrazione sull’emergenza sanitaria in atto.
Ma è a questo punto che il film sembra fare il gioco delle tre carte con un rapido susseguirsi di immagini di manifestazioni ed esempi di disinformazioni sul Covid-19, partendo da quelle più folcloristiche come l’uso della cocaina per uccidere il virus, oppure il bere più acqua, e avvicinandosi pian piano ad altre argomentazioni di tutt’altra portata, come il rischio di correlazione con il 5G o l’idea di un eccessivo allarmismo.
L’impressione emozionale che vuole dare è sottile ma chiara: le notizie false sono tutte quelle che mettono in discussione la versione ufficiale delle cose, e tutti quelli che dissentono o protestano sono stupidotti ignoranti e plagiati dai social (non c’è distinzione alcuna né spazio di ascolto delle loro argomentazioni, pregiudicalmente sciocche).
Il tutto scivola sempre più velocemente in una scenografia hollywoodiana in salsa mitologica americana. Si afferma con certezza indiscutibile che la Russia e la Cina sfruttano gli strumenti tecnologici per diffondere teorie cospirazioniste (ma non è questa stessa una visione complottista?!), utilizzando proprio gli strumenti della tecnologia dei social (ma la sede di questi colossi non è negli Stati Uniti?!).
Poi si afferma che sarebbe orrendo pensare agli strumenti dei social nelle mani di un dittatore o di un regime non democratico… Per fortuna al momento sono nelle mani degli americani, puri e senza macchia.
Sempre rimarcando che il pericolo dei social è insito nella loro capacità di corrodere e distruggere il tessuto sociale a piacimento, si susseguono esempi di diversi paesi nel mondo in cui ha vinto un governo considerato probabilmente “sbagliato” perché la popolazione è stata disinformata (compaiono anche immagini dell’attuale governo italiano).
E, dulcis in fundo, ecco poi l’associazione tra i disinformati con la violenza nelle strade, in America come in Europa, dando l’implicita idea che le manifestazioni di disagio sociale che stanno attraversando quest’ultimo periodo sono solo il frutto di fake news.

A quanto pare va tutto benissimo, tutto funziona splendidamente, i cittadini scendono in piazza solo perché hanno letto delle bugie sui social… in realtà tutti i problemi di cui si lamentano oggi le persone in piazza (licenziamenti, mancanza di sussidi, messaggi politici inconcludenti e vaghi) sono solo invenzioni dei social.
“Vogliamo vedere distrutta la democrazia? Vogliamo veramente questo?” chiede la coscienza della Silicon Valley (cioè Tristan Harris).
Ma grazie al cielo viene anche posto in luce il vero problema, per aiutare a fare più chiarezza in questo grande pasticcio: “ognuno ha diritto a una propria versione dei fatti”, mentre servirebbe “una comprensione comune della realtà”. Avete capito bene, potete rileggerlo più volte o ascoltarlo nel film. Il problema è il nostro diritto a farci una propria idea su quello che vediamo e viviamo.
Insomma, tutto il problema sembra concentrarsi su come fare ad estirpare le fake news. “Se non siamo d’accordo su che cosa sia la verità… siamo spacciati” continua Tristan. “Questo è il problema che sta alla base di tutti gli altri problemi; perché se non riusciamo ad essere d’accordo su che cosa sia vero, allora non possiamo risolvere nessuno dei nostri problemi.”
Ma non è proprio il senso della democrazia potersi confrontare su visioni diverse? E non è proprio quello che manca in questo periodo, cioè la possibilità di confrontare più parti in gioco?
“Dov’è quindi la minaccia? Non è la tecnologia ad essere una minaccia esistenziale, è la sua abilità di tirare fuori il peggio dalla società. Ed è la parte peggiore della società ad essere la minaccia esistenziale. Se la tecnologia crea caos nelle masse, sdegno, inciviltà, mancanza di fiducia reciproca, solitudine, alienazione, più polarizzazione, interferenze nelle elezioni, più populismo, distrazione e incapacità di concentrarsi sui veri problemi… questo influenza la società, e ora la società non è in grado di guarire da sola e sta regredendo, sta scivolando nel caos.”
Quindi nella scena finale Tristan espone davanti al Senato degli Stati Uniti questa problematica, affermando che i responsabili sono le piattaforme. Il rischio paventato è un’imminente guerra civile, una distruzione culturale, la minaccia alla democrazia (la solita scusa usata da sempre dagli Stati Uniti per partire in guerra) e all’economia.
La soluzione finale non è specificata a parole ma è lasciata sospesa e quasi fatta desiderare nel cuore dello spettatore distratto: servirebbero delle belle regole che possano eliminare dai social tutto quello che è falso. Già, sarebbe bellissimo, ma chi si prenderà il privilegio di decretare ciò che è vero e ciò che è falso?
In chiusura, entrando anche all’interno dei titoli di coda, tutti gli intervistati prendono commiato dallo spettatore con piccole riflessioni e suggerimenti decisamente più umani ed utili, ritornando a un livello narrativo più simile a quello iniziale, e chiudendo così l’amara parentesi di propaganda statunitense.
Ecco riportati alcuni semplici ma preziosi consigli pratici:
- Se abbastanza forti, cancellarsi dai social e incentivare altri amici a farlo; la vita è molto più ricca ed intesa instaurando relazioni dal vivo;
- Se non abbastanza forti, cercare di seguire e ascoltare sui social anche persone con idee diverse dalle proprie, in modo da esporsi a diversi punti di vista e mantenere così allenato il proprio spirito critico.
Altri utilissimi consigli che possono rendere la vita molto più facile alle famiglie per crescere più sani e liberi i propri figli, dando loro tre semplici regole:
- Tutti i device devono essere spenti ad una certa ora prestabilita, la sera prima di andare a dormire, e tenuti fuori dalla propria camera da letto;
- Niente social media fino ai 16 anni e comunque non prima delle scuole superiori;
- Stabilire un tempo limite di utilizzo giornaliero chiedendo direttamente al figlio quale pensa sia il tempo adeguato; spesso la risposta sarà ragionevole.
Per concludere, il mio parere è che The Social Dilemma è nel complesso un buon film-documentario, chiaro ed istruttivo, purché le antenne siano ben dritte e il coinvolgimento emotivo non impedisca una certa obiettività critica. In caso contrario, meglio guardarsi un bel film di azione come passatempo.
Luca Bertolotti | Psicologo, esperto di comunicazione, ricercatore indipendente.
[1] Rivelare ed ammettere una piccola colpa o un’informazione ormai difficile da mantenere nascosta all’opinione pubblica, allo scopo di chiudere il discorso nascondendo colpe più grosse o informazioni più importanti. Il pubblico infatti, a fronte di una dichiarazione di colpa inaspettata, rimane così attratto e incuriosito dalla nuova notizia da non avvertire minimamente l’esigenza di approfondire ulteriormente, ma si accontenta della versione come se fosse già la totale verità. Generalmente viene attuata questa tecniche quando stanno trapelando informazioni che potrebbero attrarre l’opinione pubblica, oppure per prevenire l’ipotesi di uno scandalo più grande all’orizzonte. L’ammissione può avvenire per dichiarazione pubblica spontanea, oppure permettendo che possano trapelare alla stampa alcune informazioni.
[2] In passato nota come USIA (United States Information Agency), nata del 1953 e ufficialmente preposta ad influenzare la percezione degli Stati Uniti nel mondo; in altre parole è preposta alla guerra di percezione. Per tale motivo gli Stati Uniti hanno facilmente dominato il mondo attraverso l’imposizione di una specifica mitologia culturale. Tutti i film di Hollywood devono tassativamente prima far passare al vaglio i copioni e le sceneggiature a questa agenzia.
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Il tema affrontato, in modo chiaro ed esaustivo, è quanto mai attuale. Invita il lettore a porsi una domanda : vogliamo dare un senso alla nostra esistenza? La risposta non può che essere affermativa, ma richiede uno sforzo intellettuale. Un giorno, mentre scrivevo al mio computer, mi resi conto che, ogni volta che alzavo lo sguardo dalla tastiera, vedevo una orchidea interrata in un vaso e appoggiata sul davanzale della finestra dinnanzi alla scrivania. Mi alzai per osservarla meglio e notai quella meraviglia che, per tanto tempo, avevo ignorato. Uno stelo, dal quale si diramavano cinque piccoli rami, al cui apice vivevano una decina di fiori, composti da petali, ognuno dei quali celava un piccolo mondo fatto di colori, di sottili venature e di un bulbo. Pensai che da lì sarebbe nato un altro fiore, racchiuso da petali che, come un nido, lo ospitavano per proteggerlo dal mondo esterno. Osservando da vicino quell’insieme, mi è parso di sentire una dolce melodia : quella di un piccolo mondo, in cui ogni elemento era al proprio posto e nel quale tutto era predisposto per generare le vita e conservarla perchè venisse rinnovata.
Quella immagine stimolò i miei neuroni e gratificò la mia Anima. A dimostrazione che il cervello e l’anima sono in simbiosi. E che possiamo essere gratificati dal mondo che ci circonda, senza ricorrere a mondi virtuali.
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